Enjoy Poverty: l’industria dell’immagine

Oggi vi proponiamo un film inusuale, poco noto alla maggior parte delle persone, ma studiato nell’ambiente didattico universitario perché di grande spessore artistico e soprattuto antropologico: ‘Enjoy Poverty’, episodio 3 di Renzo Martens. 

L’episodio III della trilogia “The thinking eye”, noto anche come “Enjoy Poverty”, è la registrazione cinematografica di 90 minuti delle attività di Renzo Martens in Congo. In un viaggio epico, il film denuncia che le immagini di povertà siano l’esportazione più redditizia del Congo, generando più entrate rispetto alle esportazioni tradizionali come oro, diamanti o cacao. Tuttavia, proprio come le materie prime del paese, i poveri (che vengono filmati) difficilmente ne beneficiano. Tra la guerra etnica e l’inesorabile sfruttamento economico, Martens mette in piedi un programma di emancipazione che mira ad insegnare ai poveri come beneficiare della loro più grande risorsa: la povertà. Pertanto Martens incoraggia i fotografi congolesi a passare da attività che ostacolano lo sviluppo, come fotografare matrimoni e feste, ad iniziare a scattare immagini di guerre e disastri. L’artista con uno sguardo volutamente cinico, poiché quello realmente adottato ogni giorno dai reporter occidentali, spiega attentamente come si dovrebbe sparare la telecamera direttamente alle costole sporgenti di un bambino malnutrito. Questa tecnica assolutamente discutibile è l’unica a rendere lo scatto maggiormente attraente e più facile da vendere ai giornali europei. 

Con un’insegna al neon “Godetevi la povertà” , imballata in casse di metallo e trasportata attraverso la giungla dagli accompagnatori di Martens, la popolazione locale è incoraggiata a capitalizzare ciò che l’occidente ha causato in quelle terre e che continua ad alimentare, la povertà. Inevitabilmente questo paradosso crea sconcerto negli sfortunati lavoratori delle piantagioni che inizialmente lo mettono in dubbio, per poi accettarlo e ballarci intorno all’installazione artistica di Renzo Martens. Alla fine, il regista dichiara all’osservatore che l’intero progetto di emancipazione sembra destinato a fallire,  si può soltanto riconoscere la situazione disperata, in quanto anche se i fotografi locali iniziassero a ritrarre le situazioni più crudeli e scioccanti della loro vita quotidiana, non riuscirebbero comunque ad entrare nel mercato dell’industria delle immagini della povertà. Il film propone una verità sconvolgente ma ciò che sconcerta maggiormente è che alla fine non è presente nessuna soluzione possibile, i poveri saranno sempre più poveri, l’industria delle immagini dello spettacolo del dolore e dell’estetica della miseria è destinata ad incrementassi. Il pezzo è il terzo di una serie di film che, enunciando i propri parametri, cercano di rendere visibile ciò che ai nostri occhi è celato. I film di Martens ci mostrano come spesso chi pensa di essere nel giusto in realtà è complice di un sistema sbagliato, in un mondo talmente sommerso dalle immagini che alla fine diventa cieco e impossibilitato ad osservare la verità.

Renzo Martens (nato nel 1973 a Terneuzen) è un artista olandese che attualmente vive e lavora ad Amsterdam e Kinshasa. Renzo Martens ha studiato scienze politiche all’Università di Nijmegen e arte all’Accademia reale di Ghent e all’Accademia Gerrit Rietveld di Amsterdam. Nel 2010 Renzo Martens ha avviato l’Istituto per le attività umane (IHA) che postula un programma di gentrificazione in una piantagione di palma da olio nella foresta pluviale congolese. Nel 2013 l’artista ha frequentato lo Yale World Fellow Program, il programma di leadership della Yale Universit.  Martens è diventato noto per le sue provocazioni, in particolare per l’”Episodio III: Enjoy Poverty (2008)”, che ha aperto l’International Documentary Film Festival Amsterdam (IDFA) nel 2009. Il film è stato proiettato in eventi d’arte e luoghi come il Centre Pompidou, la Biennale di Berlino, Manifesta 7, la Biennale di Mosca, la Tate Modern, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, la 19 ° Biennale di Sydney e diversi prestigiosi festival cinematografici. Azu Nwagbogu (curatore Zeitz MOCAA ) ha definito il film “La Guernica della nostra epoca”. 

Il film, a mio avviso, è assolutamente da vedere, in quanto (oltre all’economia delle immagini) è anche interessante osservare come tratti il tema dell’arte contemporanea. Nei nostri giorni l’arte contemporanea, in particolare la fotografica di guerra e il reportage filmico, si è prefissata sempre di più il compito politico di denunciare le ingiustizie sociali nel mondo. Le immagini che immortalano l’iniquità devono avere lo scopo di incentivare la coscienza collettiva verso un miglioramento della realtà sociale. In “Enjoy Poverty” l’artista ci mostra come questo meccanismo in realtà si sia inceppato, mano a mano il sistema si è sempre più barricato in una ricerca spasmodica e quasi malata delle immagini più cruente non tanto per una questione di denuncia, bensì estetica. Le immagini più violente sono proprio quelle più belle in quanto catturano maggiorante l’attenzione dell’osservatore e per questo sono anche le foto che sfruttano di più in termini economici. Il culmine della critica al sistema artistico avviene quando Renzo Martens entra in un’inaugurazione di una mostra fotografica sui braccianti delle piantagioni del Congo all’interno di una galleria d’arte. In questa mostra che si svolge in Congo, ma dove sono presenti quasi esclusivamente persone occidentali, l’artista osserva come nessuno si curi di ciò che in realtà le immagini mostrano ovvero la miseria più assoluta, ma in maniera sconcertante tutti si concentrano unicamente sullo stile bianco-nero delle foto, sull’inquadratura, sull’illuminazione. La provocazione raggiunge il culmine quando l’artista chiede se quelle immagini (che ritraggono tanta sofferenza) provochino fastidio all’osservatore e in maniera univoca gli viene risposto che in realtà danno una sensazione di piacere, perché esteticamente belle.

Questo film così provocatorio non poteva non ricevere delle critiche, ad esempio la rivista Frieze ha rimproverato lo stesso artista per aver perpetuato proprio ciò contro cui protestava – il piacere di guardare le persone in circostanze terribili – e anche per aver stereotipato i lavoratori delle piantagioni congolesi che alla fine del film danzano intorno alla sua istallazione.

Per concludere mi sento di consigliarlo, sicurante non sempre è una visione piacevole, in quanto spesso vengono immortalate scene di povertà assoluta o di morte, ma è un film che allarga il nostro orizzonte di visione e ci mostra una realtà nascosta.

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