La poliedricità di Doug Aitken

Ridefinire l’esperienza dell’opera d’arte: sicuramente lo scopo principale dell’artista contemporaneo Doug Aitken, protagonista dell’articolo di oggi. Aitken è un artista e regista americano che sfida ogni definizione di genere: la sua arte infatti esplora ogni mezzo comunicativo, dal film alle installazioni site-specific, fino agli interventi architettonici. Il suo lavoro è stato presentato in numerose mostre in tutto il mondo, in grandi e importanti istituzioni come il Whitney Museum of American Art, il Museum of Modern Art di New York e il Centre Georges Pompidou di Parigi, solo per citarne alcune. Ha partecipato alle Biennali Whitney del 1997 e del 2000 e nel 1999 ha vinto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Non basterebbero un’infinità di battute per presentare un artista come Aitken, che ancora ha tanto da dire e tanto ha trasmesso nel corso della sua carriera. Cercheremo di sviscerarlo analizzando le sue opere principali, e individuandone le peculiarità.

Iniziamo chiarendo un punto fondamentale dell’arte di Doug Aitken, ovvero che il paesaggio è il protagonista assoluto delle sue opere: egli utilizza il paesaggio intorno a lui sia come soggetto che come mezzo. Sebbene lavori in una vasta gamma di media, tra cui fotografia, video, suono e scultura, è meglio conosciuto per le sue installazioni, soprattutto quelle che intervengono su spazi pubblici. Per Sleepwalkers (2007), forse la sua opera più famosa e quella con cui è presente alla maggior parte del pubblico, Aitken ha realizzato un cortometraggio che ha proiettato in fotogrammi separati sul Museum of Modern Art di New York e sugli edifici adiacenti. Richiedendo otto proiettori, ogni sera per 4 settimane. Questa videoinstallazione ha mostrato 5 diverse storie, che svelano vita e visioni di donne e uomini, interpretati da famosi attori come Donald Sutherland e Tilda Swinton, colti in una quotidianità monotona e grigia, che, all’improvviso, scivola un’esperienza quasi mistica. Doug Aitken celebra così l’elemento umano colto nella sua capacità di trovare anche nell’essere alienato dalla ripetitività delle cose, momenti di epifania che lo risollevano. Prive di audio originale, le cinque sequenze video sfruttano la sonorità della città, sempre protagonista, in questo modo, di tutte le storie. Qui il video rilasciato dal Moma in occasione dell’installazione.

Doug Aitken, Sleepworkers, Museum Of Modern Art, New York, 2007

Nel 2009, il suo Sonic Pavilion è stato aperto al pubblico sulle colline del Brasile presso la nuova fondazione culturale INHOTIM; è un lavoro site-specific sviluppato dopo una ricerca dell’artista di circa cinque anni. La costruzione del padiglione ha comportato la perforazione di un pozzo nel terreno, profondo 200 metri, al fine di installare un set di microfoni per catturare il suono della terra. Attraverso un sofisticato sistema di equalizzazione e amplificazione, questo suono viene riprodotto in tempo reale all’interno del padiglione circolare vuoto, progettato per creare equivalenza tra l’esperienza audio e la propria relazione con lo spazio circostante. Arte e natura si fondono nell’opera di Aitken e, come vedremo, non sarà l’ultima volta.

Doug Aitken, Sonic Pavillon, INHOTIM, Brumadinho, 2009

Nello stesso anno Aitken ha presentato la sua installazione cinematografica e architettonica su larga scala, Frontier, sull’Isola Tiberina di Roma. L’opera è stata concepita come una ideale Energy Room: priva di tetto, prevede infatti una serie di video e immagini visibili a 360°, dall’alto, all’interno dell’installazione e al suo esterno. Il video è stato girato tra Roma, Los Angeles, Israele e il Sudafrica ed è interpretato dal pittore americano Ed Ruschi. Così lo stesso artista ha descritto questo interessante spazio architettonico, che, dopo essere stato smantellato, ora si trova al MACRO di Roma:  

Quando entri nella struttura ti trovi immerso nelle immagini sincronizzate che giocano tra loro all’interno, ti portano dentro l’installazione stessa e dentro un esperienza unica. Una volta al suo interno, le finestre non sono più visibili e tu sei completamente assorbito dalla luce delle immagini che riempono interamente le pareti e si muovono intorno a te sotto un cielo aperto e notturno“.

Doug Aitken, Frontier, Isola Tiberina, Roma, 2009

Nel 2015 l’artista esordisce invece con il su primo lungometraggio, Station to station.  Il film, che risente della formazione cinetica dell’artistadi Aitken, per la velocità con cui è presentata la pellicola, trasuda tutta la sua poliedricità e il suo amore per l’arte. Racconta un viaggio da New York a San Francisco, in 24 giorni, su un treno completamente allestito dall’artista, concepito come una scultura cinetica di luce, e in cui si susseguivano una serie di happening durante le soste previste (10 soste in totale). Nel film sono state coinvolte varie personalità: artisti come Olafur Eliasson , scrittori come l’italiano Paolo Soleri, e musicisti e performer tra cui Patti Smith e Beck. Station to Station ha successivamente rilevato il Barbican Centre di Londra per 30 giorni, nell’estate del 2015: un evento di un mese con oltre 100 artisti, musicisti, ballerini, designer e altre figure creative.

Locandina di Station to station, di Doug Aitken. Usa/Germania. 72′

Il dicembre 2016 ha segnato una delle installazioni più ambiziose per Aitken: Underwater Pavilions, un trio di padiglioni sottomarini legati temporaneamente al fondale, a largo della costa dell’isola di Catalina, in California. Costruiti con materiali scelti appositamente, presentavano una parte specchiata per riflettere il paesaggio marino, così da funzionare come una specie di “osservatorio caleidoscopico” per i visitatori, mentre le altre superfici, ruvide e simili a rocce, erano state progettate per favorire la crescita dell’ecosistema marino, che poteva essere seguita da qualsiasi parte del mondo, grazie a una rete di telecamere. Arte e scienza nuovamente insieme nell’arte di Doug Aitken, per osservare e relazionarsi con l’ambiente marino, e per sollecitare il pubblico alla sua tutela, tema, oggi, più attuale che mai. Questo progetto è stato seguito nel 2017 da Mirage, una scultura site specific che prende la forma di una casa completamente ricoperta di specchi e incastonata nel cuore del deserto californiano. Mirage è stato successivamente installato a Detroit nel 2018 ed è attualmente visibile a Gstaad, in Svizzera, dove è stato trasferito lo scorso anno. Così Aitken aveva inaugurato questa installazione-miraggio:


“Lo spettatore può tornare alla struttura mentre le stagioni cambiano: in autunno durante un temporale o in estate quando il pascolo è verde. Mentre le nostre vite cambiano, l’opera d’arte cambia con noi ”.

Doug Aitken, Underwater Pavilion, Isola di Catalina, California, 2016; Doug Aitken, Mirage, Gstaad, Svizzera, 2019.

Nel 2017 Aitken è inoltre diventato il destinatario inaugurale del Frontier Art Prize, un nuovo premio per l’arte contemporanea che supporta il vincitore nel perseguire progetti audaci che sfidano i confini della conoscenza e dell’esperienza per reimmaginare il futuro dell’umanità.

Attualmente sono in corso due sue personali, una all’Espace Louis Vuitton di Tokyo e l’altra al Museum of Contemporary Art Kiasma, ad Helsinki. Concludiamo con l’augurio di poter tornare ad immergerci, perderci e poi ritrovarci nelle opere di questo straordinario artista, che sia all’estero o qui in Italia.

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